Dallo scorso 1° gennaio anche le locazioni di negozi, catastalmente classificati in categoria C/1, possono beneficiare della tassazione cedolare: grazie a tale apertura i canoni di locazione percepiti in relazione a tali fabbricati commerciali, posseduti da persone fisiche (il conduttore evidentemente può essere anche impresa o società), possono essere tassati con un’aliquota fissa del 21%, anziché partecipare al reddito complessivo del contribuente.

Considerando che spesso si tratta di canoni consistenti, il risparmio di imposta può essere anche molto significativo; peraltro, optando per la cedolare, vengono risparmiate anche le imposte d’atto (imposta di registro e di bollo).

Questo vantaggio riguarda anche le pertinenze dei negozi se locate congiuntamente (se quindi assieme al negozio viene locato, ad esempio, un adiacente magazzino, anche il canone relativo a questo può essere assoggettato a tassazione del 21%).

È però previsto un limite dimensionale: il negozio non deve essere di grandi dimensioni, in quanto esso deve avere una metratura non superiore a 600 metri quadrati (da verificare al netto delle pertinenze).

Come negli scorsi mesi, anche nel corso del mese di agosto l’Agenzia delle entrate ha fornito alcune indicazioni di interesse circa le modalità di applicazione della previsione in commento.

Efficacia e subentro

Tale nuovo regime può riguardare solo i nuovi contratti, facendo riferimento ai contratti stipulati “nell’anno 2019” (allo stato attuale si tratta di una disposizione transitoria, in quanto parrebbe riguardare solo i contratti stipulati quest’anno), senza che sia possibile applicare il medesimo beneficio ai contratti già in corso, la cui tassazione dovrà continuare con le regole ordinarie.

Inoltre, viene stabilita una previsione antielusiva: qualora il precedente contratto fosse stato risolto a partire dal 15 ottobre 2018 per stipularne un altro tra le stesse parti contrattuali e per lo stesso immobile da assoggettare a cedolare, detto contratto dovrebbe continuare a scontare la tassazione ordinaria. Ovviamente, se il contratto fosse risolto e ne fosse stipulato uno diverso con diverse parti contrattuali, detto contratto potrebbe essere assoggettato a cedolare.

Con la risposta a interpello n. 297 del 22 luglio 2019, commentata in precedente informativa, l’Agenzia delle entrate precisa che in caso di contratto scaduto e prorogato nel corso del 2019 l’opzione è ammessa.

Con la più recente risposta ad interpello n. 364 del 30 agosto 2019, l’Agenzia delle entrate si esprime sul tema del subentro in un contratto di locazione in corso.

In particolare, nel caso di specie, il subentro nel contratto di locazione avviene a seguito di affitto di azienda.

Al riguardo, l’Agenzia osserva come il nuovo affittuario subentra nel contratto di locazione già in essere; tale situazione non può ritenersi assimilabile, ai fini che rilevano in questa sede, alla stipula di un nuovo rapporto di locazione. Infatti, la cessione del contratto di locazione, contestuale alla cessione dell’azienda, è qualificabile come un’ipotesi di cessione “ex lege” del medesimo contratto di locazione.

L’originario contratto di locazione continua quindi a svolgere i suoi effetti anche in relazione al nuovo conduttore, senza necessità della risoluzione del contratto e della stipula di un nuovo contratto di locazione; la conseguenza è che il subentro in un contratto in corso al 15 ottobre 2018 non permette di beneficiare della cedolare.

Locazione a canone variabile

Tra le previsioni che regolano la cedolare, vi è il divieto per il locatore di praticare aggiornamenti di canone a carico del conduttore: pertanto, il canone pattuito inizialmente non può in alcun modo essere adeguato in corso di contratto e qualunque diversa pattuizione risulta illegittima.

Con la recente risposta ad interpello n. 340 del 23 agosto 2019, l’Agenzia esamina il caso di una locazione di un fabbricato di categoria C/1, con superficie inferiore a 600 metri quadrati, che viene locato nel corso del 2019; la particolarità del contratto risiede nel fatto che la locazione commerciale di durata anni 6+6 prevede un canone costituito da 2 componenti:

  • una quota fissa annuale;
  • a cui aggiungere una quota variabile (nella fattispecie, pari al 3,4% dei ricavi del punto vendita della società conduttrice, per la sola parte dei ricavi che in ciascun anno supererà 1.000.000 euro).

Il dubbio che si pone è se tale parte variabile possa in qualche modo qualificarsi come “aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’Istat” ipotesi che come detto è preclusa dalla norma istitutiva.

Sul punto l’Agenzia osserva che vi è una differenza sostanziale tra l’aggiornamento del canone di locazione per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta e la pattuizione di una quota del canone di locazione in forma variabile.

Deve quindi ritenersi che la previsione contrattuale presente nel contratto di locazione, che fa dipendere la quota variabile del canone dal fatturato del conduttore, non rientra nel campo di applicazione della previsione che vieta l’aggiornamento del canone e, come tale, non risulta di ostacolo all’assoggettamento del contratto stesso al regime della cedolare secca.

Lo studio rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti.

Distinti saluti

Dott.ssa Serena Staderini